Ciò
che amo di più di Bergamo sono le mura.
Quelle
viste dalla pianura, bianche, possenti, che rendono unico la nostra
città alta nel mondo. Con le loro porte, ognuna diversa ed a suo
modo affascinante.
Ma le mura che amo di più sono quelle su cui cammini, da sopra, dai bastioni, dalla lunga passeggiata che avvolge il centro storico con un possente abbraccio protettivo.
Ma le mura che amo di più sono quelle su cui cammini, da sopra, dai bastioni, dalla lunga passeggiata che avvolge il centro storico con un possente abbraccio protettivo.
Del
resto a Bergamo non c’è il mare, ma pianure e monti su cui i
bastioni di Città alta fanno guardia. Amo passeggiare le mura,
quelle meridionali, dalla dolce pendenza che danno sulla pianura. Non
solo d’estate, sotto il sole che appiattisce la città rendendola
irreale, oppure nelle sere convulse di gente, ma ancor meglio
d’autunno o in primavera, quando le mura si spogliano di rumori e
genti, le luci e le ombre si stagliano con più profondità, o con le
rade nebbie che assopiscono i sensi, lasciando intravedere sopra le
pianure una parvenza di mare.
Nelle
notti invernali le mura sono per i solitari, che come guardie di
ronda sorvegliano casermoni bui, o il mare di luci a tratti
ordinate, a tratti indisciplinate e vivaci.
Gli aerei rompono la monotonia dell’orizzonte, con comete che atterrano e lievi luci rosse che s’alzano e scompaiono a sud.
Gli aerei rompono la monotonia dell’orizzonte, con comete che atterrano e lievi luci rosse che s’alzano e scompaiono a sud.
Ho sempre immaginato che le mura avessero un qualcosa di magico. Qualcosa di straordinario che prima o poi avrei visto accadere. Ne sono testimoni i personaggi più vari e straordinari che le popolano e le percorrono, notte e giorno. Ne sono testimoni i milioni di baci dati sulle sue panchine, o sui muretti, le foto gli sguardi persi a scrutare l’orizzonte alla ricerca di qualcosa su cui posarsi.
Ho sempre sognato che sulle mura avrei riconosciuto l’amore della mia vita, incrociandolo a passeggiare solitario come il sottoscritto. Un passo in salita, l’altro in discesa, persi a scrutare in quell’orizzonte, cercando qualcosa d’indistinto ed essenziale ed incontrarlo nei reciproci sguardi. Passi che si fermano per un istante. Il tempo di un respiro. Il tempo di un sorriso. Il tempo di riconoscersi. Due passi che riprendono lenti e vicini la stessa direzione, in un lento sincronizzarsi, sino al divenire unisoni.
Oramai il tempo mi ha insegnato che non v’è magia nell’amore ma solo chimica e calcolo.
Tuttavia, il mio cuore bambino mi spinge ancora, con forza, a percorrere le mura in una fredda, ventosa, notte di novembre.
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